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l'Assegno sociale ed i suoi requisiti

Claudia Vespa • 7 novembre 2022

Il requisito reddituale

La legge 335/95, ossia la legge che disciplina l’assegno sociale, all’art. 3, comma 6, afferma che perché tale prestazione possa essere percepita occorre che il richiedente, oltre agli altri requisiti, versi in uno stato di bisogno e tale stato di bisogno è desunto dalle sue condizioni reddituali.

 

Non rileva, a tal proposito, che, prima di chiedere l’assegno sociale, la persona abbia effettuato delle donazioni o abbia rinunciato all’assegno di mantenimento dell’ex coniuge.


Lo stato di bisogno, infatti, non necessariamente deve essere «incolpevole».


Per ottenere l’assegno sociale, quindi, non rileva il comportamento dell’interessato, né si può effettuare una valutazione caso per caso dei motivi per i quali il richiedente versi in uno stato di bisogno in base alle sue scelte di vita.


L’unica condizione prevista dalla legge n. 335/1995 per l’attribuzione dell’assegno sociale è il possesso di un reddito inferiore ad una certa soglia annualmente stabilita ed è del tutto irrilevante il comportamento del richiedente.


Quindi, il diritto a percepire l’assegno sociale scatta a prescindere dalla possibilità di poter percepire un mantenimento, un assegno di alimenti o dal fatto che si può essere in grado di provvedere alle esigenze del richiedente e dal suo comportamento.

(Cass. Sez. L. n. 24954 del 2021, Cass. 29109 del 2022, Tribunale Napoli Nord, Sentenza 2991/2022).


Gli altri requisiti per poter percepire l'Assegno Sociale.

Si ricorda però che il requisito reddituale non è l’unico requisito che bisogna possedere per poter percepire tale prestazione.


Per poter percepire l'Assegno Sociale, infatti, occorre essere in possesso anche dei seguenti requisiti:


•   aver raggiunto l’età per poterlo chiedere (che nel 2022 è 67 anni);

•  essere cittadino italiano, essere cittadino UE residente in Italia o essere cittadino extracomunitari in possesso del permesso di           soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo;

•   risiedere effettivamente ed abitualmente in Italia;

•   aver soggiornato legalmente ed in via continuativa in Italia per almeno 10 anni.

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Bimba con due mamme: sì alla dicitura “genitore” sulla carta di identità. Il caso nasce dal fatto che due donne ( una madre naturale di una minore e l’altra madre adottiva della stessa ) hanno chiesto agli uffici di Roma Capitale l'emissione di una carta di identità elettronica (C.l.E.), valida per l'espatrio, a nome della figlia minore con l'indicazione dei propri nominativi con la qualifica di «madre» e «madre» o, in alternativa, con la dicitura "neutra” di «genitore» per entrambe. I suddetti uffici di Roma Capitale hanno rigettato la richiesta perché, nell’emissione della Carta di Identità, il decreto del Ministro dell'interno del 31 gennaio 2019, prevede esclusivamente la dicitura «padre» e «madre» per la compilazione dei campi contenenti i nominativi dei genitori. Le due donne hanno, quindi, fatto ricorso alla Giustizia e i l Tribunale di Roma ha accolto la domanda affermando che esiste una situazione giuridica e di fatto indiscutibile , rappresentata dal rapporto madre/figlia tra la minore e le due genitrici (una naturale e l'altra adottiva), entrambe di sesso e genere femminile, e costitutiva di una famiglia . Un’indicazione diversa rispetto all’identità sessuale e di genere sul documento di identità della minore costituirebbe un'ingerenza nel diritto della minore al rispetto della vita privata e familiare tutelata sia dalla CEDU ( Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo) sia a livello internazionale dalla Convenzione di New York del 20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo. L' identità familiare è infatti parte integrante dell'identità personale dell'individuo. Il Tribunale, inoltre, ha ritenuto che la dicitura "genitore" anziché "madre" e "madre" sia la più idonea a bilanciare l’interesse delle ricorrenti con l'esigenza di rispettare i criteri del trattamento dei dati personali , siccome è la funzione genitoriale esercitata nei confronti della minore che deve emergere dal documento e non l'indicazione specifica del ruolo parentale specifico sessualmente caratterizzato. La pronuncia del Tribunale di Roma è importante perché si pone nel solco di quell’orientamento giurisprudenziale favorevole a valorizzare le nuove forme di genitorialità – le cosiddette famiglie “same sex” – che vanno sempre più emergendo nel nostro Stato.
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